Esaminiamo oggi la questione della non estradizione dei cittadini nazionali nel diritto francese, basandoci sia sulle disposizioni interne del Codice di procedura penale sia sulla giurisprudenza, in particolare sulla sentenza pronunciata dalla camera penale della Corte di cassazione il 17 giugno 2003 (n. 03-81.864). Si tratta di un principio di grande importanza, la cui validità è confermata fino ad oggi (febbraio 2025) e che garantisce ai cittadini francesi una protezione quasi assoluta contro una richiesta di estradizione da parte di uno Stato terzo. I dibattiti sulla fuga precipitosa di alcune personalità all'estero o sul possibile ritorno di cittadini francesi perseguiti al di fuori del territorio nazionale illustrano quanto questa regola, talvolta poco conosciuta, possa avere una rilevanza pratica considerevole. Questa trattazione, che evita qualsiasi ripresa del testo originario pubblicato nel 2020, si propone di analizzare le basi legali della non estradizione dei cittadini nazionali, di esaminare la sua portata giurisprudenziale e di considerare eventuali eccezioni o sfumature relative a questa protezione.
Sul piano legislativo, il principio è sancito dal Codice di procedura penale, più precisamente all’articolo 696-4, il quale stabilisce che l’estradizione non è concessa “quando la persona richiesta possiede la nazionalità francese, la quale viene valutata al momento della commissione del reato per il quale è richiesta l’estradizione”. Questo testo, spesso citato in casi di grande risonanza mediatica, fornisce un quadro chiaro: la Francia si vieta di consegnare uno dei suoi cittadini a uno Stato straniero, indipendentemente dalle accuse formulate. L’appartenenza alla nazionalità francese è considerata qui una barriera giuridica che l’autorità giudiziaria non può oltrepassare, anche se ritiene che le accuse o la condanna all’estero si basino su elementi seri. Questa regola ha un carattere imperativo e non può essere derogata da disposizioni convenzionali: la Convenzione europea di estradizione, adottata a Parigi il 13 dicembre 1957, non consacra formalmente il principio di non estradizione dei cittadini nazionali, ma lascia a ogni Stato la facoltà di mantenerlo. La Francia, ratificando questa convenzione, ha formulato una riserva espressa a riguardo, confermando la preminenza del proprio diritto interno e preservando così il divieto di consegnare i suoi cittadini.
Questo approccio nazionale riflette l’idea, profondamente radicata nei sistemi di diritto continentale, che lo Stato debba proteggere i propri cittadini dai rischi della giustizia straniera, spesso percepita come incerta o meno garantista rispetto al diritto francese. Storicamente, la non estradizione dei cittadini nazionali è stata giustificata anche dalla volontà di non indebolire la sovranità nazionale e il legame di fedeltà reciproca tra i cittadini e il loro paese. In altri termini, il legislatore e la giurisprudenza ritengono che, in materia di procedimenti penali, sia compito essenzialmente delle giurisdizioni francesi giudicare i fatti contestati a un cittadino francese. Di conseguenza, nessuno può forzare la mano alla Francia per ottenere la consegna di una persona in possesso di un passaporto francese, a meno che non intervenga un meccanismo specifico come il mandato d’arresto europeo (MAE). Tuttavia, anche nell’ambito dell’Unione Europea, la non estradizione può talvolta trasformarsi in una consegna condizionata, che rimane comunque un regime distinto e più flessibile rispetto alla procedura di estradizione classica.
La giurisprudenza ha fortemente consolidato questo principio, e la sentenza della Corte di cassazione, camera penale, del 17 giugno 2003 (n. 03-81.864) ne è una delle principali conferme. In questa decisione, la Corte ha ricordato che la riserva francese, iscritta all’articolo 6 della Convenzione europea di estradizione, è “imperativa e non suscettibile di essere derogata”. Pertanto, anche se la persona richiesta, per ragioni particolari, volesse sottrarsi alla protezione conferitagli dalla sua nazionalità, la regola rimane di ordine pubblico: non si può rinunciare a essa. Questa soluzione, regolarmente ribadita dalla giurisprudenza successiva, sottolinea che la non estradizione non è solo un diritto per l’imputato, ma anche un obbligo per lo Stato francese: quest’ultimo non può esimersi dalla protezione che deve ai suoi cittadini.
Il Codice di procedura penale dettaglia la procedura applicabile in materia di estradizione negli articoli 696 e seguenti. Nella maggior parte dei casi, quando una richiesta proviene da uno Stato straniero, l’autorità giudiziaria francese verifica innanzitutto se esistono convenzioni internazionali che vincolano la Francia e lo Stato richiedente. Se tali convenzioni esistono, prevalgono sulle disposizioni interne nella misura in cui non contrastano con l’ordine pubblico francese. Tuttavia, il principio di non estradizione dei cittadini nazionali rimane intangibile anche in presenza di un trattato bilaterale che preveda obblighi di consegna. Il legislatore ha infatti voluto che l’articolo 696-4 prevalesse su qualsiasi impegno internazionale incompatibile con questa protezione. L’intervento del governo (dimensione diplomatica) si articola dunque con la competenza del giudice, ma si scontra con questo limite imprescindibile: non è possibile consegnare un individuo di nazionalità francese, anche qualora lo Stato richiedente disponga di prove schiaccianti. Le autorità francesi possono tuttavia avviare, se necessario, procedimenti penali interni nei confronti del cittadino francese se i fatti contestati sono punibili dal diritto penale nazionale e se la competenza giurisdizionale risulta applicabile (ad esempio, quando la vittima è francese o quando il reato è stato commesso in tutto o in parte sul territorio nazionale, conformemente agli articoli 113-2 e seguenti del Codice penale).
Per quanto riguarda le possibili eccezioni, è cruciale distinguere tra la procedura di estradizione, disciplinata dai principi del diritto internazionale e descritta nel Codice di procedura penale, e il mandato d’arresto europeo, un meccanismo specifico dell’Unione Europea. Il mandato d’arresto europeo (MAE), codificato negli articoli 695-11 e seguenti del Codice di procedura penale, si distacca in parte dal concetto di estradizione. Esso istituisce un sistema di consegna semplificata tra le autorità giudiziarie degli Stati membri dell’UE, fondato sulla fiducia reciproca piuttosto che su considerazioni diplomatiche. In questo contesto, il giudice francese non si vieta di consegnare un cittadino francese a una giurisdizione europea, a determinate condizioni rigorosamente definite dal diritto dell’Unione. Tuttavia, anche all’interno dell’Unione, il principio di non estradizione dei cittadini nazionali non è del tutto scomparso: la Francia può esigere che il suo cittadino, ricercato per l’esecuzione di una pena, sia rinviato sul proprio territorio per scontare tale pena, o che la pena pronunciata da un altro Stato membro sia direttamente eseguita in Francia. Per le estradizioni al di fuori dell’Unione Europea, la regola rimane rigorosa: i cittadini francesi non vengono consegnati, indipendentemente dalle ragioni invocate dallo Stato richiedente.
In conclusione, il principio di non estradizione dei cittadini nazionali, sancito nell’articolo 696-4 del Codice di procedura penale, rimane un pilastro del diritto francese. La Corte di cassazione, con la sua decisione del 17 giugno 2003, ha riaffermato in modo categorico la dimensione imperativa di questa regola, al punto che essa non può essere oggetto di rinuncia né di adattamenti di origine puramente diplomatica. Al momento, nessuna evoluzione giuridica sembra rimettere in discussione questa base intangibile del diritto francese, che continua a garantire una protezione specifica a ogni cittadino in materia di estradizione.
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