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Riforma a sorpresa della cittadinanza italiana: un nuovo decreto che deve ancora superare l’esame parlamentare

  • Rodolphe Rous
  • 2 apr
  • Tempo di lettura: 21 min



Il 28 marzo 2025, il Governo italiano ha emanato, sotto forma di decreto-legge (Decreto-Legge 28 marzo 2025, n. 36), nuove disposizioni finalizzate a restringere in modo significativo i requisiti di accesso alla cittadinanza italiana per discendenza, comunemente definita ius sanguinis. L’annuncio ha suscitato un notevole scalpore sia in Italia che nelle comunità italiane e italo-discendenti di tutto il mondo, a causa del suo carattere inatteso e dei profondi cambiamenti introdotti in un ambito delicato: quello della nazionalità.


Tuttavia, a differenza di una legge ordinaria adottata dal Parlamento al termine di un processo legislativo completo, un decreto-legge (o decreto-legge) dev’essere obbligatoriamente sottoposto alla ratifica del Parlamento italiano entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Se, entro questo termine, il Parlamento non lo converte in legge, il decreto-legge decade retroattivamente, perdendo ogni effetto giuridico.


Nel corso delle pagine seguenti, sottolineeremo anche la brutalità e l’imprevedibilità di tale annuncio, che ha colto di sorpresa gli osservatori e ha già generato un notevole numero di quesiti presso i consolati e gli studi legali specializzati in diritto della cittadinanza italiana.


Contesto generale della cittadinanza italiana e dello ius sanguinis


1. Il principio dello ius sanguinis


Sin dalla legge del 13 giugno 1912 (n. 555), e in modo ancor più marcato a partire dalla legge del 1992 (Legge 5 febbraio 1992, n. 91), la cittadinanza italiana si fonda in larga misura sul principio dello ius sanguinis, ossia la trasmissione della cittadinanza per discendenza, indipendentemente dal luogo di nascita. Così, una persona nata all’estero da almeno un genitore italiano (o con un ascendente italiano in determinate circostanze) poteva vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, purché nessuno dei suoi ascendenti avesse perso o rinunciato alla cittadinanza prima della nascita del discendente successivo.


Questo meccanismo ha contribuito a mantenere un solido legame simbolico tra l’Italia e le sue comunità espatriate, in particolare in Sud America (Argentina, Brasile, Venezuela), in Nord America (Stati Uniti, Canada) o ancora in Europa (Francia, Svizzera, Belgio). Milioni di discendenti di emigrati italiani hanno così potuto richiedere – e ottenere – la cittadinanza italiana, anche a distanza di diverse generazioni dalla partenza del proprio antenato.


2. Un sistema criticato e sovraccarico


Nel corso degli anni, sono emerse diverse critiche riguardo alla trasmissione “illimitata” della cittadinanza per via di discendenza:

  • Problema amministrativo: I consolati italiani, specialmente in Paesi come l’Argentina o il Brasile, sono stati sommersi dal numero esponenziale di richieste, con tempi di attesa che talvolta superano i cinque anni per istruire un fascicolo.

  • Debole legame effettivo con l’Italia: Molti richiedenti vivono all’estero da varie generazioni, senza un vero legame linguistico, culturale o economico con l’Italia, sollevando il dibattito sull’opportunità di continuare a concedere la cittadinanza italiana.

  • Rischi di frode: Alcuni osservatori hanno evidenziato pratiche fraudolente, come l’acquisto di atti di stato civile falsi o il cosiddetto “turismo della naturalizzazione”, in cui i richiedenti si recano temporaneamente in Italia per accelerare il riconoscimento della cittadinanza.


Tali critiche hanno spinto il Governo italiano a esaminare varie ipotesi di riforma, alcune delle quali non sono poi giunte a conclusione. Ed è in questo contesto che si inserisce il decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025.


Il decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025: un testo provvisorio in attesa del voto parlamentare


1. Presentazione generale


Il Decreto-Legge 28 marzo 2025, n. 36 è un atto normativo di urgenza adottato dal Governo italiano. La Costituzione (articoli 77 e 87) prevede la possibilità per l’esecutivo di legiferare mediante decreto-legge in casi di «necessità e urgenza». Tuttavia, tale strumento è rigorosamente regolamentato:

  1. Il decreto-legge entra in vigore al momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

  2. Il Governo deve presentarlo alle Camere (Camera dei deputati e Senato) per la conversione in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione.

  3. In caso di mancata approvazione o rigetto, il decreto-legge perde efficacia, come se non fosse mai esistito.


Per questo provvedimento, ciò significa che il Parlamento italiano ha tempo indicativamente fino alla fine di maggio 2025 per discutere, emendare e votare la legge di conversione. In questo periodo, il Governo può anche decidere di ritirarlo o di sostituirlo con un nuovo testo.


2. I punti principali del decreto-legge


Sebbene la versione provvisoria possa ancora subire modifiche, il decreto-legge n. 36 introduce in particolare:

  • Nuove limitazioni riguardo alla trasmissione della cittadinanza per discendenza: solo i soggetti che soddisfano determinate condizioni specifiche (un genitore nato in Italia, oppure con residenza in Italia di almeno due anni, ecc.) possono ora vedersi riconosciuto lo status di cittadino italiano.

  • Una restrizione retroattiva: il testo stabilisce che sia considerato come “mai” aver acquisito la cittadinanza italiana chi sia nato all’estero prima dell’entrata in vigore del decreto e possieda un’altra cittadinanza, salvo eccezioni espressamente indicate.

  • Procedure contenziose più rigorose dinanzi ai tribunali: limitazione della prova testimoniale e imposizione a carico del richiedente dell’onere di dimostrare l’assenza di cause di perdita della cittadinanza.


Tali misure hanno sollevato reazioni molto accese, poiché potrebbero rimettere in discussione decine di migliaia di pratiche in corso e perfino lo status di alcuni cittadini qualora il decreto fosse convertito in legge così com’è.


3. Una riforma inattesa


Il carattere “a sorpresa” di questa riforma deriva dal fatto che, finora, i governi succedutisi avevano prospettato leggi-quadro o interventi più graduali, spesso arenatisi a causa della complessità del tema e delle diverse sensibilità politiche. Il ricorso al decreto-legge ha generato uno shock, poiché ne impone gli effetti immediati, pur se tali effetti potrebbero venire annullati in caso di mancata conversione entro 60 giorni.


La procedura di conversione del decreto-legge in legge


1. Spiegazione del meccanismo costituzionale


La Costituzione italiana, nella sezione dedicata all’attività legislativa, stabilisce chiaramente che:

  1. Il Governo può legiferare unicamente mediante decreti legislativi (su delega espressa del Parlamento) o decreti-legge (in caso di urgenza).

  2. Un decreto-legge deve essere convertito in legge entro 60 giorni.

  3. In caso di mancata conversione, il testo decade retroattivamente (ex tunc).


In pratica, il Governo trasmette il provvedimento alla Camera dei deputati e al Senato. Le commissioni parlamentari competenti lo esaminano, formulano un rapporto o propongono emendamenti, quindi la votazione in Aula ne decide il destino. I parlamentari possono:

  • approvarlo senza modifiche (scenario poco frequente);

  • emendarlo e poi approvarlo, generando così una legge di conversione emendata;

  • respingerlo del tutto, vanificando il decreto-legge.


Questa procedura è spesso piuttosto rapida e può trasformarsi in una “corsa contro il tempo”, con il Governo impegnato a far approvare il testo prima della scadenza fatidica.


2. I 60 giorni: un termine cruciale


Il termine di 60 giorni pende come una spada di Damocle sul decreto-legge. Durante questo periodo, il testo è formalmente in vigore, ma in una condizione giuridica precaria. Due gli scenari possibili:

  • Conversione in legge: se le Camere votano la conversione, il decreto-legge diventa a tutti gli effetti una legge ordinaria, eventualmente modificata dal Parlamento. Gli effetti prodotti durante il periodo di vigenza del decreto vengono così confermati e prorogati.

  • Mancata conversione: se il Parlamento respinge o non vota la conversione in tempo, il decreto-legge cessa di esistere. In via di principio, le misure adottate in sua applicazione andrebbero annullate, salvo casi di effetti irreversibili (principio di certezza del diritto), ma la regola generale è la decadenza retroattiva.


Nel caso in questione, il Governo italiano ha posto l’accento sull’urgenza dettata da motivi di sicurezza nazionale e dalla necessità di controllare il numero di nuovi cittadini potenziali. Resta da vedere se tali argomentazioni persuaderanno la maggioranza parlamentare, dato il carattere sensibile del tema e l’impatto sulle comunità italiane all’estero.


Le disposizioni di spicco del decreto: analisi dettagliata


(Si ricorda che il testo è ancora provvisorio, soggetto ad eventuale emendamento o bocciatura parlamentare.)


1. Eliminazione della trasmissione automatica illimitata


Il decreto introduce nella legge del 1992 (n. 91) un articolo 3-bis che stabilisce: «è considerato come non aver mai acquisito la cittadinanza italiana colui che è nato all’estero […] e che possiede un’altra cittadinanza», salvo che l’interessato soddisfi una delle seguenti condizioni:

  • Lo status di cittadino italiano era già stato riconosciuto dalle autorità (consolato, comune, ecc.) entro il 27 marzo 2025 (cioè il giorno precedente la pubblicazione del decreto).

  • L’interessato aveva presentato una domanda di riconoscimento o promosso un’azione giudiziaria prima del 27 marzo 2025.

  • Almeno uno dei genitori (o adottanti) è nato in Italia.

  • Almeno uno dei genitori (o adottanti) ha risieduto in Italia per almeno due anni consecutivi prima della nascita o dell’adozione.

  • Un ascendente di primo grado (genitore dei genitori) è nato in Italia.


Questa disposizione rappresenta un vero e proprio sconvolgimento: per decenni l’Italia aveva riconosciuto il diritto di ereditare la cittadinanza su più generazioni, senza richiedere alcun criterio di residenza o nascita in Italia.


2. Restrizioni nella prova di cittadinanza davanti ai tribunali


Il decreto incide sull’articolo 19-bis del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, che disciplina le controversie relative al riconoscimento della cittadinanza italiana. Due modifiche principali:

  • Il giuramento e la prova testimoniale non sono più ammessi, salvo eccezioni previste dalla legge. In altre parole, il giudice non potrà più basare la decisione principalmente su dichiarazioni testimoniali o giurate, rendendo più arduo per i richiedenti ricostruire la discendenza italiana, specie in assenza di documentazione completa.

  • È ora il richiedente a dover provare che non sussistono cause di mancata acquisizione o perdita della cittadinanza. In precedenza, spettava spesso all’amministrazione dimostrare l’avvenuta perdita. Questo “rovesciamento” dell’onere probatorio rende decisamente più complesse le procedure amministrative e giudiziarie.

3. Impatto sulle richieste in corso


Il testo prevede una relativa salvaguardia dei diritti acquisiti per coloro che avevano già depositato la domanda o avviato un contenzioso prima del 27 marzo 2025. Tuttavia, l’applicazione pratica di tale clausola incontra diverse questioni ancora aperte:

  • Che ne sarà delle pratiche in fase di istruttoria senza convocazione fissata prima di tale data?

  • Cosa accadrà a chi ha iniziato a raccogliere i documenti ma non ha potuto depositare la domanda?


Questi punti restano poco chiari e destano numerose preoccupazioni fra gli italo-discendenti sparsi nel mondo.


Reazioni immediate e stato dell’opinione pubblica


1. Reazioni in Italia


  • Sostegno politico: Alcuni partiti della maggioranza sostengono che questa riforma fosse necessaria per ridurre il gran numero di richieste considerate “opportunistiche” e rafforzare il legame reale con la Repubblica italiana. A loro avviso, la sicurezza nazionale e l’effettiva adesione ai valori del Paese prevalgono sul semplice legame genealogico.

  • Opposizione e critiche: I partiti d’opposizione considerano il provvedimento eccessivo e contrario ai principi storici dell’Italia, Paese di emigrazione tradizionalmente legato ai suoi concittadini all’estero. Alcuni denunciano una rottura di eguaglianza, se non addirittura una discriminazione.


2. Reazioni all’estero


  • Comunità italiane: Forte agitazione nelle principali mete dell’emigrazione italiana (Buenos Aires, San Paolo, New York). I consolati italiani riferiscono un boom di chiamate e di richieste di chiarimento. Molte persone si interrogano sulla validità del proprio status o sull’opportunità di presentare la domanda in extremis.

  • Esperti e avvocati: Gli studi specializzati in pratiche di cittadinanza italiana insistono sull’incertezza che circonda questo decreto-legge, rammentando che la conversione in legge non è garantita. Nondimeno, avvertono che, qualora il Parlamento lo approvi, molti richiedenti potrebbero perdere ogni possibilità di acquisire la cittadinanza italiana.


3. Sorpresa e interrogativi


La repentinità di questa riforma non era prevista nel programma di Governo né negli schemi di legge finora discussi. Inoltre, la durezza di alcune misure (retroattività, esclusione della prova testimoniale, ecc.) lascia intravedere un probabile scontro politico in Parlamento.


Nessuno si aspettava un testo simile, definito da taluni analisti come un vero “colpo di fulmine legislativo”.


Il percorso parlamentare: prossime tappe


1. Presentazione alla Camera dei deputati


Secondo la prassi, il Governo depositerà formalmente il testo alla Camera dei deputati, che lo esaminerà in commissione (con ogni probabilità la Commissione Affari Costituzionali) prima di portarlo all’esame dell’Aula. I deputati potranno proporre emendamenti per attenuare o inasprire determinate disposizioni.


La Camera avrà un tempo limitato per la discussione, poiché occorre consentire anche al Senato di votare prima che scadano i 60 giorni. Spesso, l’Esecutivo tende ad accelerare la procedura, ricorrendo anche al voto di fiducia sul decreto-legge per comprimere il dibattito.


2. Passaggio al Senato e votazione finale


Dopo l’eventuale approvazione da parte della Camera, il testo emendato passa al Senato.


Anche il Senato può modificarlo, ma in caso di modifiche deve tornare di nuovo alla Camera per l’approvazione definitiva, complicando ulteriormente l’iter. In pratica, le due Camere potrebbero ricorrere a una commissione mista in caso di divergenze insistenti.


L’obiettivo del Governo è presumibilmente ottenere la conversione prima dello scadere dei termini. Se i tempi fossero troppo stretti, potrebbe invocare la priorità legislativa o altre strategie procedurali per accelerare l’approvazione.


3. Scenari possibili


  • Scenario 1: Adozione senza modificheIl Parlamento approva il decreto-legge quasi integralmente. Le misure entrano così definitivamente in vigore, consolidando la riforma.

  • Scenario 2: Adozione con emendamentiLe Camere potrebbero ammorbidire il provvedimento (es. prolungare i termini per la presentazione delle domande, reintrodurre la prova testimoniale, specificare la portata della retroattività, ecc.). In tal caso, il testo finale risulterebbe meno drastico di quello originario, ma rappresenterebbe ugualmente un mutamento rilevante.

  • Scenario 3: BocciaturaSe dovesse mancare la maggioranza parlamentare o se l’opposizione riuscisse a bloccare il provvedimento, il decreto-legge n. 36 decadrebbe e i suoi effetti svanirebbero retroattivamente. Le richieste pendenti verrebbero di nuovo regolate dalla legislazione anteriore, come se il decreto-legge non fosse mai esistito.


L’imprevedibilità del cambiamento: perché «brutale»?


  • Nessun preavviso: Di norma, prima di una riforma di vasta portata, il Governo svolge consultazioni, pubblica libri bianchi, o organizza tavoli di lavoro. Qui, invece, nulla di tutto ciò: il provvedimento è stato introdotto con un decreto-legge d’urgenza.

  • Un discorso incentrato sulla sicurezza: Il testo richiama il timore di un possibile ampliamento del corpo elettorale italiano e del pericolo che migliaia, se non milioni, di “cittadini italiani di carta”, secondo alcuni deputati, possano mettere a rischio la sicurezza nazionale o l’equilibrio europeo. Questa retorica non era stata al centro dei precedenti dibattiti sulla cittadinanza.

  • Ripercussioni immediate: Il decreto-legge è entrato in vigore il 29 marzo 2025, sconvolgendo da subito tutte le pratiche di riconoscimento della cittadinanza. Gli effetti sono notevoli, dal momento che sono in corso un gran numero di domande in tutto il mondo.

  • Incertezze e “incubo amministrativo”: Consolati, tribunali e comuni italiani si ritrovano dalla sera alla mattina con un nuovo quadro normativo da applicare, pur sapendo che il decreto-legge potrebbe venire modificato o bocciato entro due mesi. Ciò genera ulteriore confusione, definita da certa stampa come una vera e propria “tempesta legislativa”.


Le giustificazioni ufficiali del Governo


Il preambolo del decreto-legge evidenzia varie “considerazioni”:

  • Aumento esponenziale delle richieste: Le autorità hanno notato un incremento considerevole delle richieste di riconoscimento della cittadinanza da parte di italo-discendenti.

  • Rischio per la sicurezza nazionale: Secondo il testo, l’elevato numero di nuovi cittadini privi di un effettivo vincolo di appartenenza potrebbe costituire un problema di sicurezza, anche a causa della libera circolazione nello spazio Schengen.

  • Principio di proporzionalità: Il Governo intende salvaguardare i diritti di chi ha già ottenuto la cittadinanza, ma chiudere la “falla” per le nuove richieste.

  • Necessità e urgenza: Secondo l’Esecutivo, occorreva evitare una “valanga di richieste” presentate in extremis prima di un’eventuale riforma legislativa definitiva.


Tuttavia, tali argomenti non sono univoci. Diversi giuristi sottolineano che sarebbero state possibili soluzioni più mirate (ad esempio, potenziare i controlli antifrode, introdurre l’obbligo di una prova di lingua italiana, ecc.) senza intaccare un pilastro storico del diritto di cittadinanza.


Le implicazioni pratiche per i discendenti di italiani


1. Per coloro che non hanno ancora depositato domanda


La misura più radicale consiste nel divieto di riconoscere la cittadinanza a chi è nato all’estero, possiede un’altra cittadinanza e non ha un genitore nato in Italia o residente nella Penisola per almeno due anni. Ciò significa che:

  • Individui di terza, quarta o quinta generazione (e oltre) con un antenato italiano bisnonno, trisnonno, ecc. potrebbero non avere più la possibilità di presentare domanda.

  • Per alcuni resterebbe solo la via della naturalizzazione ordinaria (5 anni di residenza per i cittadini UE, 10 per i non UE), meno vantaggiosa del riconoscimento automatico.


2. Per chi aveva già depositato la domanda prima del 27 marzo 2025


Il decreto-legge prevede un’eccezione per le domande presentate prima della data limite. In linea di principio, tali pratiche continuerebbero a rientrare nella normativa pregressa, ma resta da chiarire: come comprovare la data di presentazione? Cosa succede se il consolato non ha ancora avviato l’istruttoria?

È probabile che le autorità italiane richiedano una prova (e-mail, ricevuta di presentazione, ecc.) che attesti la formalizzazione della domanda prima della data in questione. Restano tuttavia da definire i dettagli applicativi.


3. Per chi aveva già ottenuto la cittadinanza


In virtù del principio di certezza del diritto, i diritti già acquisiti dovrebbero rimanere intatti. In concreto, chi è già in possesso di passaporto o carta d’identità italiani conserva la cittadinanza, anche se, in base alle nuove regole, non avrebbe potuto ottenerla.


Il quadro legale italiano: cenni e interazioni


1. La Costituzione del 1948


La Costituzione repubblicana sancisce il principio di uguaglianza fra i cittadini (art. 3) e riconosce la cittadinanza come elemento fondamentale, ma non ne definisce le modalità di attribuzione o di perdita, delegando tutto a leggi ordinarie (come quella del 1992). Il Governo giustifica l’introduzione del decreto richiamando la facoltà, prevista dall’art. 77 della Costituzione, di emanare decreti-legge in caso di urgenza.


2. Le leggi precedenti (1912, 1983, 1992)


Il nuovo decreto si pone “in deroga” rispetto agli articoli-chiave della legge del 1992, della legge del 1912 e di quella del 1983. In pratica, sospende intere parti di tali testi per le nuove richieste, costituendo così un notevole cambio di paradigma.


3. I trattati internazionali e l’UE


L’Italia è parte di varie convenzioni internazionali, fra cui la Convenzione europea sulla nazionalità (1997, non ratificata da tutti) e la Convenzione di Strasburgo del 1963 per la riduzione dei casi di pluralità di cittadinanze. A livello europeo, le conseguenze possono essere significative, poiché ogni nuovo cittadino italiano diventa automaticamente cittadino dell’Unione, con diritto alla libera circolazione e di stabilimento nello spazio Schengen.


Il decreto-legge fa riferimento proprio a un rischio per la sicurezza Schengen, sostenendo che persone con legami puramente simbolici con l’Italia potrebbero procurarsi un passaporto europeo. Tuttavia, tale tesi è oggetto di dibattito.


Critiche giuridiche e costituzionali


1. Possibile lesione dei diritti acquisiti e dell’affidamento legittimo


Alcuni esperti sottolineano che l’Italia, per oltre un secolo, ha incoraggiato la diaspora a rimanere legata alla patria d’origine. Alla vigilia di una possibile riforma, potrebbe apparire ingiusto o incostituzionale interrompere in modo repentino il “patto implicito” fra l’Italia e le sue comunità di emigrati. Potrebbero essere promosse azioni di legittimità costituzionale qualora la legge di conversione non garantisca adeguate norme transitorie a tutela delle situazioni pregresse.


2. Problemi di retroattività


Il decreto qualifica come “mai acquisita” la cittadinanza per le nascite avvenute all’estero prima della sua entrata in vigore, a meno di specifiche eccezioni. Eppure, in diritto italiano la retroattività è soggetta a limiti rigorosi. La questione sollevata è se si possa privare un individuo di uno status cui poteva legittimamente aspirare prima della pubblicazione del decreto.


3. Termine di 60 giorni: possibile bocciatura parlamentare


Secondo alcuni giuristi, la natura “dura” della riforma potrebbe spingere una parte della maggioranza a proporre emendamenti più moderati, o addirittura a non votare la conversione. I più ottimisti ritengono che il testo verrà rivisto a fondo, eliminando la retroattività o introducendo criteri meno rigidi.


Testimonianze e casi concreti


Per comprendere la portata della situazione, ecco alcuni esempi reali (nomi fittizi, ma casi ispirati a pratiche effettive):

  • Lucia Alvarez (Buenos Aires, Argentina)

    • Pronipote di un italiano emigrato nel 1900.

    • Prima della riforma, avrebbe potuto avviare la procedura di riconoscimento.

    • Dopo il 28 marzo 2025, non sarebbe più idonea se non ha già depositato domanda, poiché la linea risale al bisnonno e nessun genitore diretto è nato in Italia.

  • Marco Donovan (New York, Stati Uniti)

    • Suo padre è nato a Milano ma ha lasciato l’Italia a 3 anni.

    • Il padre non è più tornato a viverci, ma Marco ha avviato la richiesta di riconoscimento nel 2024 presso il consolato.

    • Se i documenti attestano che la domanda è stata presentata prima del 27 marzo 2025, allora Marco dovrebbe conservare i benefici della normativa preesistente, nonostante il decreto.

  • Paolo Pereira (San Paolo, Brasile)

    • Ha iniziato a raccogliere la documentazione nel febbraio 2025, senza però riuscire a fissare un appuntamento al consolato.

    • Rischia di non poter dimostrare di aver ufficialmente depositato la pratica prima del termine stabilito.

    • Potrebbe vedersi negato il riconoscimento, a meno che non rientri in altra condizione (ad esempio, un genitore nato in Italia).


Questi esempi evidenziano l’effetto concreto e spesso drammatico che la riforma potrebbe avere su migliaia di persone.


Le dinamiche politiche della conversione


Perché il Governo ha optato per il decreto-legge anziché per un disegno di legge ordinario?


Gli osservatori propongono diverse spiegazioni:

  • Volontà di intervenire rapidamente: L’Esecutivo considerava troppo urgente la situazione per attendere un iter parlamentare “canonico”, che avrebbe potuto protrarsi per mesi.

  • Effetto sorpresa: Il Governo ha preferito imporre un fatto compiuto, obbligando il Parlamento a reagire sotto pressione, piuttosto che rischiare un blocco in commissione.

  • Strategia negoziale: Presentando un testo molto severo, il Governo conta forse sul fatto che eventuali emendamenti potrebbero ammorbidirlo, ma lasciarne inalterata la sostanza, accontentando una larga parte della maggioranza.


Resta da capire se la riforma sopravviverà nella sua interezza, solo in parte o se verrà abbandonata, a seconda degli equilibri interni alla coalizione e della pressione esercitata dagli elettori italiani all’estero (i quali eleggono anch’essi deputati e senatori).


L’aspetto “decreto inatteso”: reazioni sulla stampa


I principali quotidiani italiani hanno dedicato ampio spazio alla notizia della pubblicazione del decreto:

  • Corriere della Sera: «Una riforma a sorpresa che cambia le regole del gioco per milioni di oriundi».

  • La Repubblica: «Governo, stretta sulla cittadinanza: rischio caos nei consolati?».

  • Il Messaggero: «Cittadinanza, il decreto che potrebbe scatenare contenziosi globali».


La stampa internazionale, soprattutto in America Latina, parla di un senso di “tradimento” avvertito da numerosi discendenti di italiani. Alcuni titoli sottolineano «la porta si chiude sulla nazionalità italiana» o «fine di un’era per gli italo-discendenti».


Aspetti amministrativi: quale impatto sui consolati?


I consolati italiani nel mondo sono in prima linea per le domande di cittadinanza. Dalla fine di marzo 2025, devono applicare d’urgenza il decreto-legge, pur non sapendo se esso verrà mantenuto:

  • Sospensione di fatto di nuove domande: Alcuni consolati hanno bloccato momentaneamente la prenotazione di appuntamenti, in attesa di chiarire la portata del decreto.

  • Valutazione accelerata dei fascicoli: Altri uffici, al contrario, cercano di concludere rapidamente le pratiche già complete prima della data cruciale, per salvaguardare i diritti dei richiedenti.

  • Ambiguità giuridiche: I consoli si trovano a dover applicare una normativa che potrebbe venire annullata, e a gestire l’assalto di persone timorose di ulteriori irrigidimenti normativi.


Tutto ciò aggrava le difficoltà per il personale consolare, spesso in sottorganico, subissato da richieste legittime di chiarimento.


Focus: la procedura parlamentare in Italia (riepilogo)


Per capire perché 60 giorni rappresentino una sfida, ricordiamo il funzionamento istituzionale:

  1. Iniziativa: Il Governo emana un decreto-legge che entra subito in vigore.

  2. Commissione: Il provvedimento è assegnato a una commissione della Camera (Affari Costituzionali o mista) per l’esame e la stesura di un rapporto con eventuali emendamenti.

  3. Voto in Aula: La Camera discute e vota il testo, con o senza emendamenti.

  4. Trasmissione al Senato: Il testo passa al Senato, che lo rivede. In caso di difformità tra le due Camere, occorre un ulteriore passaggio.

  5. Termine di 60 giorni: Tutto ciò deve concludersi prima della scadenza.

  6. Promulgazione: Se il Parlamento approva, il Presidente della Repubblica promulga la legge di conversione, rendendola definitiva.

Il rischio è quello di una “navetta” parlamentare troppo lunga, che superi il limite dei 60 giorni. In tal caso, bisognerà cercare compromessi in tempi stretti.


Ipotesi di emendamenti parlamentari


È possibile che il Parlamento voglia emendare il testo per:

  • Chiarire la retroattività: per esempio, escludendo la retroattività per le nascite anteriori a una certa data, o concedendo più tempo per presentare le domande.

  • Reintrodurre una forma di prova testimoniale: per non penalizzare i casi in cui la documentazione anagrafica storica sia carente.

  • Allentare i requisiti di residenza o di ascendente nato in Italia: magari consentendo il riconoscimento se l’ascendente diretto era un nonno nato in Italia, ampliando un po’ la platea dei beneficiari.

  • Fissare un termine di applicazione: spesso riforme di questo tipo prevedono un periodo transitorio per permettere alle amministrazioni e agli utenti di adeguarsi.


Tuttavia, niente è garantito. Il Governo potrebbe anche tentare di far approvare il decreto così com’è, facendo leva sulla disciplina di maggioranza.


Conseguenze per gli italo-discendenti: cosa fare nell’attesa?


In questo periodo di grande incertezza, le persone interessate si pongono varie domande:

  1. Conviene depositare la domanda in extremis?

    • Se soddisfacevate i requisiti della vecchia legge ma non avevate presentato domanda, purtroppo il termine stabilito dal decreto (27 marzo 2025) è già trascorso. Non potrete più avvalervi della normativa pregressa, a meno che il Parlamento non sposti tale termine.

  2. Posso impugnare questo decreto davanti a un tribunale italiano?

    • In teoria, sì, ma la causa rischia di essere lunga e ostacolata dalla necessità della conversione del decreto in legge. Alcuni studi legali stanno già valutando profili di incostituzionalità riguardo alla retroattività.

  3. Devo aspettare il voto parlamentare?

    • Sì, è probabilmente la scelta più ragionevole. Il testo potrebbe essere modificato, ammorbidito o respinto, cambiando completamente gli scenari.

  4. Che dire del “nuovo legame con l’Italia” di cui parlano altri testi?

    • Esiste un progetto di legge parallelo, menzionato da alcuni articoli di stampa, che imporrebbe l’obbligo di “mantenere un legame concreto” esercitando un diritto o un dovere civico almeno ogni 25 anni. Ma, al momento, è solo un progetto e non è in vigore.


L’importanza di ribadire il carattere temporaneo del decreto


È bene ricordare che il decreto-legge n. 36 è attualmente in vigore ma non definitivo. Tutto l’assetto del sistema di cittadinanza italiana potrebbe essere ripristinato se il Parlamento non ne votasse la conversione, oppure modificato tramite emendamenti.


Questa incertezza spiega i consigli di prudenza di molti avvocati e consulenti: finché la legge di conversione non sarà approvata, è difficile fornire risposte certe per ogni singolo caso. Le discussioni parlamentari potrebbero riservare non poche sorprese, in un senso o nell’altro.


Uno sguardo storico: la tradizione italiana di apertura verso gli espatriati


L’Italia ha storicamente incoraggiato i propri cittadini a mantenere un legame profondo con la patria d’origine. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Costituzione del 1948 ha sancito la possibilità di votare dall’estero, a testimonianza di una volontà di inclusione democratica della diaspora.


Milioni di italiani hanno lasciato il Paese tra l’Ottocento e la metà del Novecento, contribuendo allo sviluppo di intere nazioni (Argentina, Brasile, Stati Uniti, ecc.). Da questo punto di vista, la riforma odierna segna una potenziale rottura con un principio profondamente radicato nell’immaginario collettivo, delineando in modo molto più rigoroso la “comunità nazionale di diritto”.


Aspetti sociologici: la diaspora italiana nel XXI secolo


Secondo le statistiche più recenti, si stima che oltre 6 milioni di cittadini italiani siano ufficialmente registrati nell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE). Tuttavia, i discendenti di italiani che non si sono mai iscritti o che non hanno mai avviato la pratica di cittadinanza potrebbero ammontare a decine di milioni. L’ampiezza del fenomeno spiega:

  • La pressione sui servizi consolari: in Paesi come il Brasile e l’Argentina, ad esempio, la lista d’attesa per ottenere un appuntamento di cittadinanza superava già i 2 anni prima di questo decreto.

  • Il dibattito sull’italianità: molti commentatori ritengono preferibile mantenere lo ius sanguinis ma introdurre requisiti di conoscenza della lingua, della cultura e un effettivo coinvolgimento.

  • La risonanza politica: Gli italiani all’estero eleggono propri rappresentanti in Parlamento. In passato, i loro voti hanno influenzato la composizione delle maggioranze. Una riforma così incisiva potrebbe modificare a lungo termine la mappa elettorale italiana.


Il futuro della cittadinanza italiana nell’Unione Europea


L’Italia fa parte dell’UE, dove ogni cittadino nazionale è automaticamente cittadino dell’Unione. Gli altri Stati membri guardano con attenzione a questi sviluppi, perché un alto numero di nuovi cittadini italiani significherebbe un corrispondente aumento della libera circolazione nello spazio comunitario.


Se, ufficialmente, Bruxelles non si è pronunciata sul decreto-legge, è plausibile che la Commissione europea ne segua l’evoluzione. Ogni Stato dell’UE resta sovrano in materia di cittadinanza, ma a livello europeo potrebbero sollevarsi obiezioni nel caso di abusi (come la “vendita di passaporti”) o di potenziali rischi per la sicurezza comune.


Il ruolo del Presidente della Repubblica


Il decreto-legge è firmato dal Presidente della Repubblica (Sergio Mattarella nel 2025).


Tuttavia, lo stesso Capo dello Stato può intervenire in fase di promulgazione della legge di conversione, rinviandola alle Camere se ritiene che sia incostituzionale o in contrasto con i principi fondamentali della Repubblica.


In casi estremamente rari, il Presidente potrebbe rifiutare la promulgazione. Ciò accade di solito solo in presenza di motivi molto gravi di costituzionalità. Al momento è prematuro dire se il Presidente eserciterà questo potere, ma è un aspetto da tenere in considerazione.


Prospettive a confronto: altri Paesi europei


Numerosi Stati europei combinano ius sanguinis e ius soli, ma la maggior parte tende a prevedere requisiti di residenza o test di lingua per il riconoscimento della cittadinanza. Ad esempio:

  • Spagna: la trasmissione è possibile fino alla seconda generazione, dopodiché è necessaria la residenza nel Paese per ottenere la cittadinanza.

  • Portogallo: il Codice di nazionalità riconosce l’ascendenza portoghese ma spesso richiede la prova di un legame effettivo.

  • Grecia: ammette lo ius sanguinis ma con requisiti documentali piuttosto rigorosi.


Finora, l’Italia si distingueva per la notevole flessibilità del proprio ius sanguinis, fattore che spiega lo sgomento generato da questo decreto-legge.


Le prospettive nella pratica notarile e forense


L’applicazione concreta del decreto-legge dipenderà in larga parte dall’interpretazione amministrativa e dall’orientamento della giurisprudenza. Gli avvocati specializzati prevedono una ondata di contenziosi se la legge verrà confermata:

  • Contenziosi amministrativi: in molti impugneranno i provvedimenti di diniego, contestando un’errata interpretazione delle eccezioni previste dal testo.

  • Contenziosi costituzionali: potrebbero emergere ricorsi sulla retroattività e sulla limitazione della prova per testimoni.


Gli operatori del settore consigliano massima cautela, invitando gli interessati a conservare tutta la documentazione, in attesa che il Parlamento chiarisca l’assetto definitivo.


Consigli provvisori per chi è interessato alla cittadinanza italiana


  1. Verificare la data di deposito: Chi aveva già presentato domanda prima del 27 marzo 2025 dovrebbe procurarsi una ricevuta ufficiale dal consolato.

  2. Monitorare l’attualità parlamentare: il destino della riforma si decide da qui a fine maggio 2025. È essenziale seguire i dibattiti per sapere se il decreto sarà emendato o respinto.

  3. Considerare altre vie: se la riforma sarà confermata ed escluderà il vostro caso dallo ius sanguinis, si può valutare la naturalizzazione per residenza in Italia (matrimonio con cittadino italiano, residenza prolungata nel Paese, ecc.), se realizzabile.

  4. Conservare la documentazione: Atti di stato civile, certificati di non naturalizzazione degli ascendenti, ecc. potrebbero risultare utili nel caso in cui la legge finale fosse meno restrittiva o in prospettiva di eventuali contenziosi.


Scenario futuro: se il Parlamento approva la legge…


Se, al termine dei 60 giorni, il Parlamento vota la conversione mantenendo i punti centrali del decreto, lo scenario giuridico italiano cambierà radicalmente:

  • Fine della trasmissione senza limiti di generazione: rimarrebbero idonei solo i cittadini di seconda generazione (o con un ascendente nato in Italia), mentre gli altri sarebbero per lo più esclusi, salvo eccezioni.

  • Maggiori controlli: tribunali e consolati applicheranno regole più rigorose, con minori possibilità di produrre testimonianze a sostegno della discendenza.

  • Effetti sulla diaspora: I futuri richiedenti potrebbero essere obbligati a trasferirsi fisicamente in Italia o a dimostrare che un genitore è nato nel Paese. Le lunghe file presso i consolati potrebbero diminuire, ma al prezzo di un calo drastico dei nuovi cittadini riconosciuti.


Conclusione: la cittadinanza italiana a un bivio


Il Decreto-Legge 28 marzo 2025, n. 36 costituisce uno dei cambiamenti più inaspettati e radicali nella storia della cittadinanza italiana. L’obiettivo dichiarato è di limitare in modo massiccio l’accesso alla nazionalità per discendenza, invocando motivazioni di sicurezza nazionale e coesione sociale. Tuttavia, tale obiettivo si scontra con diversi ostacoli:

  • Una tradizione storica di apertura e generosità verso la diaspora;

  • Complesse dinamiche parlamentari, in un contesto in cui la maggioranza di governo potrebbe non essere compatta su un tema tanto sensibile;

  • Rischi di controversie legali e forti reazioni da parte di milioni di italo-discendenti nel mondo, che percepiscono questa riforma come una rottura improvvisa con lo spirito dell’Italia migrante.


Il decreto-legge deve ancora superare l’esame del Parlamento, che ha 60 giorni per convertirlo in legge. Fino ad allora, nulla è definitivamente stabilito. La situazione resta incerta e le prossime settimane saranno decisive.


L’urgenza di un approccio equilibrato


Qualunque sia l’esito parlamentare, è evidente che la questione dello ius sanguinis in Italia richieda una riflessione approfondita e un confronto con le comunità interessate. Se è comprensibile l’intento di limitare gli abusi o di richiedere un più solido legame culturale e civico, la scelta di una procedura così drastica – un decreto-legge d’urgenza – appare sorprendente e allarmante.


Il tempo dirà se questa mossa servirà a chiarire il quadro normativo o se finirà per acuire la confusione e l’insicurezza giuridica. È opportuno ribadire con forza che il testo non è definitivo finché non verrà ratificato con un voto parlamentare.


Da seguire: i dibattiti e le votazioni nelle Camere italiane, i possibili emendamenti e la reazione finale del Presidente della Repubblica. Fino a quel momento, gli italo-discendenti, gli studi legali, i consolati e le autorità locali resteranno in attesa di una legge duratura che possa stabilizzare – o abrogare – questa riforma improvvisa.


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